Negli anni novanta, l’architetto Stefano Boeri, aveva sottolineato come l’Italia avesse subito profondi cambiamenti del territorio, in conseguenza delle altrettanto profonde trasformazioni del tessuto sociale e dei costumi. Il Paese, ricco e poco regolato, si era costruito un territorio a sua immagine e somiglianza. Quest’analisi così severa mi ha riportato ai passi della Genesi 1,26-28: “Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra».
Esponenziale è stata la dispersione sul territorio in nome del “Lavoro sempre e dovunque” specie nel Nord Est e in particolare nell’area di Castelfranco Veneto, una delle prime aree a industrializzarsi in questa regione. Così come esponenziale è stata la perdita di identità e la creazione della sub cultura del “m’interessa solo ciò che porta guadagno”.
E se il Nord geografico è la direzione verso l’estremità settentrionale dell’asse sul quale ruota la terra, questo territorio dapprima evoluto e poi involuto rappresenta la più generale involuzione del nostro Paese e della logica scellerata del profitto a qualunque costo, in una sorta di “loop” al quale non ci si può sottrarre esattamente come la Terra non può evitare di ruotare intorno al proprio asse. Poche sono le persone ritratte nel mio lavoro. Sono per lo più presenze aliene, che lasciano tracce o assenze legate a ricordi sbiaditi. La memoria è un lusso che non ci si può permettere. Delle persone che hanno fatto la storia di questi luoghi, nel silenzio delle fabbriche, rimangono poche memorie scritte, descrizioni telegrafiche (sposata, con prole, ritardo, licenziato/ a, promosso/a, defunto/a, ecc.) che ci fanno dimenticare del sudore, delle emozioni, dell’entusiasmo che hanno riempito le costruzioni asettiche e invivibili che l’industrializzazione sfrenata del secondo dopoguerra ci ha regalato. E nell’ “apparente” deserto che ne deriva, i segni della storia convivono caparbiamente accanto ai segni di quello che ci hanno fatto credere fosse “lo sviluppo”, così come il talento e l’entusiasmo continuano a convivere affianco alla rassegnazione per ciò che si è perduto.
Testo di Massimo Mastrorillo/door